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IL CANTO DI PALOMA
(LA TETA ASUSTADA)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 29 novembre 2009
 
di Claudia Llosa, con Magaly Solier, Susi Sanchez, Marino Ballon (Perù, 2009)
 
Iniziativa preziosa quella proposta da una sala del luganese: la prima visione dell'Orso d'Oro all'ultimo Festival di Berlino, la scoperta di un cinema peruviano attento ad una presa di posizione sociale oltre che artistica, e la rivelazione di una personalità prepotente che si sta affacciando alla scena internazionale, la giovane Claudia Llosa, nipote dello scrittore Mario Vargas Llosa.

Egualmente debitori della presenza di una protagonista (Magaly Solier) altrettanto determinante di quella situata dietro la cinepresa, i primi due film della regista risultano sorprendenti e affascinanti nelle diversità come nelle costanti che si portano appresso. Diversità di soggetto, ambiente, quadro psicologico.

Rivelatore etnologico della vita in un villaggio sperduto nella spettacolare prospettiva delle Ande, ed egualmente approccio drammaturgico di grande originalità, l'opera prima MADEINUSA (2006) è il ritratto di una giovane che, come indica il suo nome, sogna di fuggire verso lidi apparentemente più eccitanti. Una libertà da conquistarsi attraverso il crimine; una tragedia ancestrale, in chiave essenzialmente femminile, sullo sfondo delle feste religiose e pagane che accompagnano i tre giorni della Pasqua. Quando il Cristo, essendo morto, non può vedere: ed è quindi abolito il peccato e permessa ogni sorta di nefandezze.

Ambientazione opposta, urbana, immersa nel Perù contemporaneo quella al contrario di IL CANTO DI PALOMA. Dove un'altra figura drammatica della condizione femminile nasce dal “seno spaventato” del titolo originale. E' la sorte di chi discende dalle vittime delle atrocità sofferte dalla popolazione durante la guerriglia in atto dagli anni Ottanta al Duemila fra i ribelli del Sentiero Luminoso ed il governo; la credenza popolare che vuole i bimbi nutriti dal latte nato da quegli stupri segnati per sempre da un'angoscia psicosomatica che impedirà loro ogni accesso alla serenità esistenziale come alla sessualità.

L'interesse del cinema di Claudia Llosa non è però soltanto quello di sondare fra i riti antichi e malesseri contemporanei: ma di fonderli in una visione poetica originale ed intensa. Servito da una fotografia splendida, da una presa in diretta su un villaggio andino piuttosto che sulla Lima del centro urbano o delle bidonvilles di periferia, lo sguardo della cineasta fonde continuamente realtà e fantasia, melanconia e violenza, sensualità e repulsione, grottesco derisorio e partecipazione emotiva, impegno sociale e politico. Un materiale enorme e non completamente dominato, una composizione registica sempre creativa e un attimo compiaciuta: ma che nelle sue contraddizioni ripropone la grande energia della tradizione ispanica per il realismo magico e poetico, in uno scontro fra modernità, primitivo e barocco.


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